Cesare Ballardini – Heimat
“Il titolo Heimat è ispirato dal film-saga Heimat – Eine deutsche Chronik del 1984 diretto dal regista tedesco Edgar Reitz. È diviso in 11 episodi e racconta la storia di una famiglia del villaggio immaginario di Schabbach, nell’Hunsrück, la regione della Germania in cui è nato il regista. Heimat è una di quelle parole complesse, specifiche della cultura tedesca, per le quali non è possibile una traduzione diretta in inglese o nelle lingue neolatine, che viene solitamente semplificato (o ingabbiato) nella sua accezione di casa / patria / luogo natìo (Homeland in inglese). L’antropologa Ina-Maria Greverus collega il termine al concetto di identità: per lei, “heimat” è una sorta di “mondo idilliaco” complesso e dinamico, all’intersezione di comunità, spazio e tradizione. E’ una posizione interessante per osservare le fotografie scarne ed eleganti di Ballardini: esse parlano a bassa voce eppure con grande chiarezza del paesaggio dell’Emilia Romagna, e sono pervase da un tema costante di tensione visiva e affetto per il mondo che lo circonda”. (Luca Nostri)
“Il leitmotiv del libro non è solo topografico (tre luoghi, piccoli, modesti) né biografico […] ma il modo in cui questi luoghi sono guardati, il modo in cui sono, nel complesso, restituiti. Uno sguardo che è allo stesso tempo attento, discreto, preciso, curioso, oggettivo, poetico e malinconico, senza mai essere sentimentale. Malinconico: ecco un piccolo cimitero, le lapidi si appoggiano ai rami dell’albero in primo piano come dei fiori. Una genealogia, e solo uno sguardo più attento permette di identificare una sagoma, è una persona viva, che sembra percorrerla a ritroso passando in rassegna i ricordi, piccola come una formica. Susan Sontag sosteneva che la malinconia fosse connaturata al mezzo fotografico, dal momento che, premuto il pulsante di scatto, il presente che la camera cattura è già irrimediabilmente passato. C’è un’insistenza, qui, è come se sfogliando il libro stessimo passeggiando immersi in una tiepida nostalgia, in una solitudine conosciuta. Tutto sembra essere già successo: le tapparelle abbassate della scuola, i cancelli chiusi, lo spettacolo del circo che i manifesti laceri annunciavano, orfei, il mucchietto di ghiaia che si dissolve nel terreno come una clessidra tra una pagina e l’altra, i ricami di luce stampati per un attimo dalle foglie sul muro della casa, le rose fiorite, quel temporale, che nella fotografia resterà sempre in arrivo sul campo, ma che non tornerà mai più per davvero. […] Ciò che più stupisce, di questa immaginaria passeggiata, è quanto, giunti all’ultima tappa, questi luoghi risultino, a chi guarda, familiari. Sembra di esserci stati, là, anzi, di esserci già stati, anche se così non è.
Sembra di conoscerli, o meglio, sembra che echeggino qualcosa di conosciuto. Un po’ come dopo aver letto le poesie di Emily Dickinson: sembra di aver visto quel giardino della casa di Amherst che raccontano tante delle sue poesie, anche se è in un’altra epoca e dall’altra parte del mondo, e non aveva certo nulla di speciale. Non sono infatti tanto i luoghi in sé, privi di elementi chiaramente identificabili, di riferimenti distintivi, ad attirare la nostra attenzione di spettatori, qui. Il sentiero in mezzo all’erba, i giunchi piegati dal vento, i pali della luce a scandire le distanze dei campi, il sottopasso: è come averla fatta davvero, una passeggiata, ma più che in un dove, in un come, in una certa disposizione d’animo che conosciamo bene. Perché sappiamo di una geografia ridotta, di cancelli visti e rivisti, di una crepa nell’asfalto per la strada di casa sulla quale si soffermano involontariamente i nostri occhi, ancora e ancora, mentre pensiamo a tutt’altro, di quel senso che ancora ci sia tanto da vedere nelle pieghe del percorso che facciamo tutti i giorni per andare a lavorare, nel nostro microcosmo, un posto (o una costellazione di luoghi) fisico ma soprattutto mentale, in riferimenti che a noi parlano come di una storia precisa, e che a un altro risultano muti e misteriosi come dei geroglifici.” (Veronica Lanconelli)